2014 – fedeltà al primo sabato di agosto
Sabato 2 agosto 2014
Carissimi amici della Madonna dei Ghiacciai,
proprio oggi 2 dicembre 1°anniversario della scomparsa di don Giuseppe Capra è la prima volta che mi trovo a scrivere a voi. Mi sono chiesto cosa avrebbe scritto lui in quest’occasione. Immagino che ci avrebbe comunicato la sua gioia di aver raggiunto la vetta della montagna più ambita “il Paradiso” anche se la salita è stata accompagnata da sofferenze fisiche legate alla malattia.
Me lo immagino a discorrere di montagna con tutte le persone che, in questi 46 anni di “servizio” alla Cappellina dei ghiacciai, sono state ricordate e con tutti i collaboratori e costruttori che già ci hanno preceduto nell’eternità. E non mi fa specie pensare che anche lì abbia degli incarichi da dare ad ognuno perché tutto, qui sulla terra, possa procedere per il meglio per chi è rimasto a soffrire per un vuoto difficilmente colmabile.
I ricordi che ho di don Giuseppe sono legati alla mia fanciullezza: ragazzino delle scuole medie nel collegio dei Salesiani a Peveragno (CN), Madonna dei Boschi. È stato il mio insegnante di lettere in prima media e me lo ricordo come un docente esigente ed un amministratore oculato e risparmiatore. E prima di scacciare i demoni da esorcista si è allenato con noi piccoli “birichini”, con non tanta voglia di studiare e molta di giocare, nella fatica di crescerci come voleva don Bosco “buoni cristiani e onesti cittadini”.
Ora dal cielo ci sorride e chiediamo a lui che benedica e protegga ciascuno di noi e sostenga questa bella iniziativa da lui iniziata e portata avanti con tanto zelo e dedizione.
Così lo ricordano nel loro messaggio di partecipazione per la celebrazione di quest’anno due vescovi che negli anni passati hanno presieduto la celebrazione eucaristica:
«Saluto con vivo affetto e tanta nostalgia tutti i presenti a questa Messa, celebrata nella cattedrale più bella del mondo, “non fatta da mani di uomo, ma da Dio”.
Ringrazio don Vincenzo per l’invito a presiedere questa Eucaristia. Per i miei “raggiunti limiti di età”, gli stessi che mi hanno reso un vescovo cosiddetto “emerito”, ho dovuto rinunciare, con molto rammarico. Se con la mente e con il cuore si può ancora volare, con le gambe stagionate ci si deve fermare. Ma quanta struggente sofferenza si prova nel dover ora vivere soprattutto di ricordi, nel pensare al passato, alle belle escursioni alpine, alle Messe sulle vette, anche alle due celebrate quassù, e dire che tutto è come una scia, lasciata sul mare della vita e che l’onda distrugge in fretta!
Carissimi, vi penso da lontano, proprio dal mare, ricordando le commozioni provate nel pregare per gli amici caduti su questi monti e su questi ghiacciai. Rivedo i volti in lacrime di padri, madri, amici, inconsolabili nel piangere i loro cari, giovani vite stroncate da fatali tragedie. Rivedo tutti anche con un senso di particolare gratitudine per don Capra, il tanto amato e stimato animatore di questi incontri, a cui tutti dobbiamo imperitura riconoscenza. Mi piace vederlo come il primo della cordata, giunto ormai alla vetta, intento a guardare dall’alto e tirarci su tutti, con il suo esempio, il suo senso positivo della vita, il suo coraggio e la sua tenacia. Veramente egli stato uno che ha saputo leggere la lezione della montagna, come per anni ci ha insegnato il Santo Giovanni Paolo II nel suoi giorni di riposo in Valle d’Aosta e per il quale le alte vette erano la rappresentazione simbolica del movimento ascensionale dello spirito. Nella venerata memoria di don Capra, mi permetto di citare una delle tante emozioni e insegnamenti del grande Papa che per anni ho accompagnato sulle nostre montagne valdostane. Di fronte al superbo Monte Bianco uscì con questa riflessione che tutti condividiamo: “Quale suggestione si prova nel guardare il mondo dall’alto, e nel contemplare questo magnifico panorama da una prospettiva d’insieme! L’occhio non si sazia di ammirare, né il cuore di ascendere ancora; riecheggiano nell’animo le parole della liturgia: “Sursum corda”, che invitano a salire sempre più in alto, verso le realtà che non passano e anche al di là del tempo, verso la vita futura. “Sursum corda”: e ciascuno è invitato a superare se stesso, a cercare “le cose di lassù”, secondo l’espressione paolina “quae sursum sunt quaerite” (Col 3,1), a elevare lo sguardo al cielo, dove è salito il Cristo “primogenito d’ogni creazione, giacché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra” (Col 1,16).
Carissimi amici, rimaniamo uniti nell’amore per la montagna e nella preghiera. Un saluto a tutti ed un augurio affettuoso a don Vincenzo per continuare questa bellissima ricorrenza».
Mons. Alberto Maria Careggio
+ vescovo emerito di Ventimiglia
Sanremo, 16 luglio 2013
«Ho incontrato don Giuseppe Capra sempre in montagna: dalla Madonna dei ghiacciai a quella del Rocciamelone. Sempre entusiasta. La montagna era veramente per lui una scala per contemplare meglio il volto di Dio attraverso il volto della Madonna. Maria Santissima ottenga a tutti voi che partecipate a questa suggestiva celebrazione la capacità di portare nella vita quotidiana l’esperienza di bellezza e di incanto che dona la montagna. La grandiosità dello scenario alpino ci aiuti a percepire meglio le nostre fragilità e i nostri limiti perché non presumiamo mai di noi stessi e ci aiuti ad alzare lo sguardo verso orizzonti più grandi.
Cordialmente».
+ Giuseppe Guerrini,
vescovo di Saluzzo
Prima di dare inizio al racconto della celebrazione del 2 agosto mi rendo conto di aver certamente dimenticato qualcuno o qualcosa d’importante per l’inesperienza e per questo vorrei anticipatamente scusarmi e chiedervi la cortesia di mettermi al corrente di ogni mia dimenticanza o errore soprattutto rispetto alle persone presenti scrivendomi all’indirizzo email vincenzo.caccia@31gennaio.net affinché il nostro sito sia il più completo e corretto possibile.
Sebbene tutti avremmo voluto celebrare la S. Messa per i caduti del Monte Rosa alla Cappelina dei ghiacciai nella cattedrale più bella del mondo, “non fatta da mani di uomo, ma da Dio”, come ricordava Mons. Careggio, quest’anno si è svolta all’Istituto Angelo Mosso, al Passo dei Salati.
A causa del brutto tempo il Soccorso alpino di Macugnaga aveva sconsigliato la salita al Rifugio Gnifetti. Nei giorni precedenti era caduta molta neve tanto da provocare, il 31 luglio, la valanga che staccandosi dalla parete della Piramide Vincent travolgeva una cordata di tre persone provocando la morte del quarantenne irlandese, Casey Shay.
Un ringraziamento particolare alla disponibilità delle Funivie del Monte Rosa, che hanno permesso di comunicare tempestivamente, a chi saliva utilizzando la cabinovia, il cambio di luogo, al Presidente del Cai di Varallo Paolo Erba, con cui è stata condivisa la scelta del luogo e soprattutto al custode Sig. Marco Carestia ed al Prof. Pier Giorgio Montarolo, direttore dell’Istituto A. Mosso, uno dei ragazzi costruttori della Cappellina, per la grande disponibilità dimostrata.
Nonostante la giornata nebbiosa e questo imprevisto la celebrazione della S. Messa si è svolta nel migliore dei modi in un clima raccolto di preghiera e di commozione con la partecipazione di una ottantina di persone, tra parenti, amici dei caduti, rappresentanti del Soccorso alpino, della Guardia di Finanza e delle sezioni del CAI.
Tra coloro di cui siamo riusciti ad avere i nominativi: per il CAI Umberto Pallavicino, consigliere del comitato centrale di indirizzo e di controllo, segretario del CAI Regione Piemonte e appartenente alla sezione di Alessandria, Paolo Erba, presidente del CAI di Varallo, il past-president Carlo Raiteri, Ivano Frisone, CAI Macugnaga; Mario Michela, Gabriella Carrera e Alice Michela, CAI di Volpiano; Giuseppe Amadi, Liliana Aimaro e Luciano Gastaldi, CAI di Borgosesia; Fabio Loss in rappresentanza della Società delle Guide di Alagna; Simona Berteletti del Soccorso alpino, sezione di Borgosesia ed altri suoi colleghi.
Fedelissimi, come sempre, gli amici biellesi: Vittorio Lanza e gli amici del Coro Genzianella che hanno animato con il canto la S. Messa, Alessandro Blotto, sezione ANA.
Tra i presenti anche alcuni parenti dei caduti del passato: Luigi Ragionieri, in ricordo di papà Sermano, Giorgio Borrione, amico di Paola Bianchi mancata nel 2005 e la moglie di Arturo Squinobal in ricordo di Oreste Squinobal nel 10° anniversario della morte, a causa di una lunga e crudele malattia. Insieme a lui nella S. Messa abbiamo fatto memoria anche di Luigi Gandolfo, Antonio Costa, Giovanni Paolo Casanova, Luciano Antonioli e Alfredo Bay tutti caduti nel 2004.
Ed infine, dalla Val Susa, gli stretti collaboratori e amici di don Giuseppe, legati a lui anche per la Madonna del Rocciamelone: Italo Pent, Giorgio, Martoia, di S. Antonino di Susa; Franco Balbo, Mariadele Maritano, Pierangelo Pettigiani e Modestina di Rosta; Alessandro Viotti e Gino Gonella di Buttigliera Alta.
La facilità di accesso all’Istituto Angelo Mosso, grazie alla funivia, ha permesso ad alcuni parenti dei caduti, già avanti nell’età, di poter essere presenti a questo momento carico di spiritualità, commozione e solidarietà sia nel dolore che nella speranza.
La liturgia dei defunti ci ricorda che con la morte “la vita non è tolta, ma trasformata”. I cari che ci hanno preceduto vivranno per sempre nel nostro cuore ed il loro ricordo sarà la loro presenza “trasformata” nella nostra vita. Li faremo rivivere in noi accogliendo l’eredità di bene e di amore che ci hanno lasciato. Ci hanno passato il testimone e ci invitano a nostra volta ad essere pronti anche noi a cederlo perché questa scia di bene e di amore ricevuto e donato non abbia mai fine.
La S. Messa è stata presieduta dal vescovo emerito di Aosta Mons Anfossi Giuseppe e concelebrata dal parroco di Gressoney don Ugo Casalegno e dal sottoscritto don Vincenzo Caccia.
Al momento dell’offertorio sono state presentate le fiaccole dei caduti.
Abbiamo iniziato dalla fiaccola in memoria di DON GIUSEPPE CAPRA presentata dal nipote Antonio Ravera con la moglie Barbara mentre il profilo veniva letto dalla loro giovane figlia Sonia. Ad accompagnarli l’amica e benefattrice fossanese Annamaria Sordella. I Biellesi hanno voluto esprimere il loro ringraziamento e la loro amicizia verso don Giuseppe dedicandogli una fiaccola, mentre i suoi più stretti collaboratori una targa-ricordo. Entrambi gli oggetti saranno esposti nella Cappellina della Madonna dei ghiacciai al Rifugio Gnifetti quale memoria della grande dedizione e passione di don Giuseppe per questa iniziativa.
Successivamente sono state presentate le fiaccole in memoria dei vari caduti a cominciare da coloro che erano periti singolarmente:
ALDO BELLOTTI 64 anni, nato a Trivero il 23 luglio 1948 e deceduto il 21 luglio 2013 a Piedicavallo precipitando in discesa lungo la cresta Sud del Bo, a quota 2.200 metri in una località chiamata Schiena dell’Asino.
Aldo era un volto conosciuto a Trivero e nella Valsessera. Era un tipo solitario, ma non disdegnava la compagnia. Aveva lavorato come artigiano edile ed era riconosciuto da tutti come un vero maestro nell’intonaco. Altra sua grande passione era la lavorazione del legno: si dilettava a costruire mobili.
La fiaccola in sua memoria è stata presentata dalla nipote Paola Bellotti accompagnata da Daniele Giubelli che ha letto il profilo:
«La montagna era la sua casa, conosceva tutte le cime; sul monte Bo era salito infinite volte, forse più di 50, ci andava anche quando c’era la neve alta, e lì ha fatto l’ultimo viaggio, quello che lo ha portato nella cima più alta, quella dove nostro Signore ha accolto lui e il suo cane Tex amatissimo e fedele compagno di montagna , il suo amore più grande insieme alle montagne che qualche anno fa lo aveva lasciato. Diceva sempre che la morte più bella per lui sarebbe stata lì e non in un altro posto. Il Signore lo ha accontentato, ma noi avremmo voluto che stesse qui ancora per molto tempo. Era un uomo burbero, forse per nascondere la sua grande sensibilità che solo le persone molto intelligenti hanno il dono di avere, il suo grande cuore era enorme, donava agli altri senza mai vantarsi di nulla, anche se dava veramente molto. Da una decina d’anni aveva iniziato, assieme ad alcuni amici, il ricupero dell’Alpe Stramba dove le tre baite diroccate sono diventate un luogo accogliente, spesso lo raggiungevano gli amici per trascorrere insieme il fine settimana tra camminate e una puntata al torrente per la pesca. Il giorno del suo funerale avrebbe compiuto 65 anni e avrebbe voluto regalarsi una salita al Corno Bianco, invece ha iniziato il cammino verso la strada più importante della sua vita.
«Ti immaginiamo su, nelle cime più alte a camminare con il tuo fedele Tex e a sorriderci , per darci la forza di essere persone migliori. Ciao Aldo».
SIMONA HOSQUET 30 anni di Antey Saint André, vittima il 6 febbraio 2014 di una valanga staccatasi dal monte Roisetta, a circa 2.800 metri di quota, nel vallone di Cheneil in Valtournenche: unica donna membro della storica società guide del Cervino, ex campionessa italiana juniores di fondo, caporal maggiore degli Alpini e prima donna in forza all’esercito italiano a conseguire, nel 2007, la qualifica di istruttore militare scelto di sci e alpinismo e nel 2010 il brevetto di guida di alta montagna. Protagonista di numerose ascensioni, attratta soprattutto da goulottes, vie classiche e grandi pareti, una su tutte la via ‘Padre Pio prega per tutti’ sulla Sud del Cervino, Simona aveva salito la vetta del Aconcagua nel 2011 e aveva ripetuto la via Bonatti sul Cervino.
Durante il funerale il cappellano militare don Flavio Riva così ha pregato per lei e noi ci uniamo a questa invocazione: «Sei per noi oggi un punto di riferimento che non scorderemo mai. Aiutaci a essere come te, piena di passione».
La fiaccola in sua memoria è stata presentata dalla mamma Silvana Gal, dal fratello Daniele con la moglie Emanuela Chessa che ha letto il profilo accompagnata dalla piccola figlia Marika. A condividere questo momento c’erano anche gli amici Loris e Lorella Sorteni: «Simona hai cercato la tua strada sempre in salita. Un susseguirsi di emozioni, gioie, speranze, fatiche, paure ti hanno sempre portata ad andare avanti senza fermarti mai… ogni giorno era un nuovo giorno da vivere per realizzare i tuoi sogni troppo grandi , immensi… la montagna ti ha dato tanto ma non ti bastava volevi ancora raggiungere mete, traguardi impossibili.
Ora la montagna ti ha richiamato a sè, per sempre, in Paradiso dove ora regni felice.
Aiuta tutti i tuoi cari e coloro che ti hanno tanto amato e voluto tanto tanto bene.
Ciao Simona, la tua famiglia».
La cerimonia è poi proseguita presentando le fiaccole dei caduti in cordata:
La fiaccola in memoria di LAURA FRISA 41 anni, originaria della valle Antrona e residente ad Omegna, caduta insieme a Marianna Conti il 13 agosto 2013 sul versante francese del Monte Bianco, lungo la cresta del Mont Blanc du Tacul, travolte da una valanga causata dal crollo di un seracco. Laura lascia la mamma Pierina e il fratello Marco.
Da anni praticava sci alpinismo e aveva seguito corsi tecnici con il C.A.I. di Villadossola. Era operaia nella ditta “Beltrami” di Piedimulera che si occupa di lavorazione delle lamiere. La fiaccola in sua memoria è stata presentata dalla cugina Sonia, accompagnata dal cugino Massimo Commisso, mentre il profilo è stato letto dal marito Massimo insieme alle due figlie Jennifer e Nicole.
«Cara Laura, sono passati mesi, un anno ormai… e ci mancano tanto la tua voce gioiosa e squillante, il tuo volto sorridente. Ma la tua voce e il tuo volto sono custoditi nella nostra memoria e nel nostro cuore, tu vivi nei nostri ricordi , sempre. Vogliamo ricordarti come eri, in particolare una caratteristica su tutte del tuo carattere: l’altruismo! Sì, sei sempre stata generosa e piena di slanci; non ti risparmiavi non solo nelle cose che ti appassionavano ma anche nel prodigarti verso la famiglia, verso il tuo prossimo.
Hai saputo amare chi ti stava vicino. E se pensiamo all’amore che possiamo dare nella nostra vita (parliamo di noi stessi), ci rendiamo conto di quanto è mancante e imperfetto…
E allora “in che troverò consolazione, in chi mi confiderò ?.. Confiderò nel mio Signore il cui amore sorpassa ogni conoscenza” (Ef. 3:19). E in virtù del mistero di quell’amore ineffabile, di quella speranza noi ti diciamo : arrivederci a presto cara LAURA!!
Con tutto il nostro AMORE».
MARIANNA CONTI 37 anni di Pallanzeno figlia di papà Giorgio, e mamma Mirella e sorella di Doriana e Giuliano. Era capo-reparto alla secolare manifattura “Polli” di Villadossola dove tutti le volevamo bene, perché era “una persona cristallina e sincera”. Marianna condivideva la passione per la montagna con il marito Tiziano Titoli.
La fiaccola in sua memoria è stata presentata dal marito Tiziano Titoli insieme al nipote Paolo Palmara ed all’amico Daniele Cassietti, mentre il profilo è stato letto da Giuliano, fratello di Marianna:
«E’ trascorso ormai un anno da quel tragico giorno in cui la tua vita è stata strappata troppo prematuramente, ma il tuo ricordo rimarrà per sempre vivo nei nostri cuori e in quelli delle persone a te care; il tuo sorriso illuminerà di luce le nostre giornate più buie! I tuoi occhi brilleranno per sempre come stelle nel cielo! Quel cielo che molte volte hai sfiorato da vicino raggiungendo le tue alte vette!!
Ora proprio da quella più alta vegli su di noi proteggendoci. Sei stata e sarai sempre una figlia, moglie, sorella, zia e amica perfetta. Ci hai insegnato tante cose e quella più importante è “l’amore”, si quell’amore che tu davi senza mai chiedere nulla in cambio!
Grazie Mary che anche se sei stata accanto a noi per questi anni così brevi ci hai dato tanto e fatto capire che la vita va vissuta come un dono e non va sprecata! Questo te lo dobbiamo. Tu che meritavi di vivere ancora di più e che amavi questa vita! Andremo avanti per te e
ti terremo sempre viva nel nostro cuore! Grazie Mary, Angelo nostro ti vogliamo un immenso bene!».
ALDO BERGAMINI nato a Milano il 26 dicembre 1956, caduto a 4.300 metri mentre tentava di raggiungere la Cresta Rey alla Cima Dufour il 10 agosto 2013, insieme a Roberto Carmagnola, suo compagno di cordata in molte ascensioni compiute.
Alpinista e scialpinista provetto e capace aveva salito 41 cime di 4000 metri oltre ad innumerevoli vette alpine, iniziato a questa passione dal papà Ugo e condividendo le gite con i fratelli e gli amici più cari. Da un anno era rimasto vedovo di Pina, mancata per un tumore osseo, e la montagna era diventata anche un modo per avvicinarsi a lei.
La fiaccola in sua memoria è stata presentata dai figli Luca e Sofia e dal papà Ugo mentre il profilo è stato letto dal fratello Roberto insieme ai due figli Giovanni e Carlo.
Ad accompagnarli un gruppetto di amici: Sergio, Mariagrazia, Enrico e Davide.
«Quello che vogliamo condividere con voi oggi è ciò che la montagna significa per papà:
– Reciproca fiducia, affidarsi totalmente ad un’altra persona, un Amico, un Fratello, non solamente un compagno di cordata.
– Fatica, uno sforzo che non sia fine a se stesso, ma che riesca a dare un gusto nuovo al raggiungimento della meta e alla contemplazione dell’immensità da cui si è circondati.
– Gioia, quella che scaturisce dagli occhi di chi vive questa passione.
– Serenità, cercata soprattutto in quest’ultimo anno, e tranquillità sicuramente trovata nella quiete delle cime.
– Preghiera, meditata durante la salita, cantata sulla vetta e sussurrata lungo la strada del ritorno. Tanti sentieri percorsi per trovare il silenzio e ritrovare il Padre.
“Molte sono le strade che portano a Dio, una di esse passa per la montagna.”».
(Reinhold Stecher, vescovo di Innsbruck – da “Il messaggio delle montagne”)
ROBERTO CARMAGNOLA-VIETTI 43 anni di Borgosesia, elettricista di professione e alpinista per passione, tanto da prestare servizio nella sezione locale del Soccorso Alpino, precipitato il 10 agosto 2013, col suo compagno di cordata Aldo Bergamini.
Così lo ricorda la sorella Luisa: «Descrivere in queste righe Roberto, figlio, fratello, amico e compagno di tante emozioni, non è cosa da poco. Robi era colui che trovava un valido motivo per vivere al meglio ogni giorno e, se non c’era, lo creava con l’immaginazione… quel tanto che bastava per trasformarlo in realtà. Credeva in sé e non dimenticava di credere negli altri. Attento, deciso, disponibile, riservato, sensibile, entusiasta e tenace, tendeva la mano a tutti con cuore ed allegria. Amava la montagna perché vivendola ne scopriva i suoi valori morali per poi metterli in pratica. Ogni vita, Robi, serve a qualcosa indipendentemente dalla sua durata e dalla sua conclusione e tu con le tue parole, fatti, silenzi, sorrisi e la tua vita, hai dato tanto a noi! Sei partito per un lungo viaggio non per lasciarci, ma per scalare le più alte vette e diventare un angelo per restare qui in noi e tra noi! Ciao Robi!»
E ancora Luisa, in un immaginario dialogo in prima persona: «Il mio zaino e le mie scalate, non sono solo carichi di materiali e di viveri: dentro ci sono la mia educazione, i miei valori, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere. In montagna non porto il meglio di me stesso, porto me stesso, nel bene e nel male. La montagna insegna che non bisogna vivere con la paura di morire, ma con la gioia di vivere di entusiasmo ed amore e che, cadendo, non si perde la gloria di essere saliti …. perché nella vita non si fa nulla di grande senza tutto questo!»
La fiaccola in sua memoria è stata presentata da Simona Berteletti, rappresentante del Soccorso alpino di Borgosesia, di cui Roberto faceva parte mentre il suo profilo è stato letto dall’amico di scalate Enrico Zanetti Chini accompagnato dagli amici del CAI di Borgosesia Giuseppe Amadi, Liliana Aimaro e Luciano Gastaldi. Per la sua attività di volontario del Soccorso il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, medaglia d’oro al valore civile, VIII delegazione Valsesia Valsessera, gli ha tributato una targa riconoscimento con le seguenti motivazioni: “con il suo entusiasmo ed il suo spirito allegro ha sempre partecipato ad interventi e attività addestrative con grande dedizione.”
MARIA TERESA PIERI 57 anni, di Biella, scomparsa il 7 luglio scorso ai piedi della Becca di Gay su un tratto di nevaio che nascondeva un torrente effimero. Un ponte di neve si è sfondato e lei e il suo compagno di cordata Walter Corniati sono precipitati nel greto del torrente che li ha trascinati pochi metri dopo in una cascata di 15 metri circa. Aveva una grande esperienza di montagna anche all’estero.
La fiaccola in sua memoria è stata presentata dal fratello Luca accompagnato dalla moglie Monica che ha letto il profilo insieme a Francesca, figlia di Maria Teresa, ed all’amica Roberta Dettomati:
«Teresa, percezione del vero, istintiva e naturale che riconosce il bene in tutte le cose. / Teresa, luce potente, forza bianca luminosa e purissima, tradotta in energia vibrazionale entro la quale chi viene carpito tende a rimanere intrappolato positivamente. / Teresa, come una montagna. / Teresa, amore è il guardare le stesse montagne da angolature diverse.
Hai sempre rincorso il tuo obiettivo facendo sempre attenzione al tuo cammino. È il cammino che insegna sempre il modo migliore per arrivare e ci arricchisce mentre lo percorriamo. Il tuo cammino ti ha reso grande, unica e luminosa come la luna.
Sentiamo quanto ci vuoi bene, sentiamo che dove sei stai benissimo. Ad occhi chiusi comunichiamo con te immaginandoti sempre intorno a noi. Ciao Tere
“lassù tra le mie nuvole anche la fretta mi siede accanto e aspetta”».
WALTER CORNIATI 61 anni di Biella, iscritto alla Sezione C.A.I. “Pietro Micca” di Biella
Sposato con Emanuela e padre di tre figli: Fabio, Cecilia ed Irene.
La fiaccola in sua memoria è stata presentata dalla figlia Cecilia e dalla moglie Emanuela Valin mentre il figlio Fabio ha letto il suo profilo.
«Da subito papà mi ha trasmesso questa passione per la montagna. Dopo aver fatto quasi tutte le vette principali italiane, si è cimentato anche in alpinismo extraeuropeo, tra le vette conquistate ci sono Kilimangiaro, Monte Kenia, Monte Ararat, Alpamajo (vetta più alta).
Oltre alla montagna impegnativa condivideva moltissime gite più semplici con la moglie, e da qualche anno aveva scoperto il mondo del volontariato in Bolivia, dove si era recato negli ultimi 2 anni per svolgere campi lavoro in missioni religiose, approfittando per qualche salita sulle Ande. Disponibile con tutti, allegro, vivace e di compagnia … amico di tutti!
Gran appassionato di arte, si dilettava in ritratti, acquarelli, costruzione di strumenti musicali (organetti a manovella). Era ad un passo dalla pensione che gli avrebbe permesso di dedicarsi ancor maggiormente alle sue passioni».
Dopo la comunione eucaristica è stata proposta una “Laude alla montagna” composta da don Giuseppe:
«Grazie Signore,
per le gioie che ricevo dalla montagna, per la fatica che è scuola,
per la soddisfazione che si ha quando si raggiunge la cima,
per quel senso di contemplazione che prende poi
a guardarsi intorno a sprofondare nell’orizzonte.
Grazie Signore,
perché la montagna mi ricorda che ho bisogno degli altri.
Ti prego, Signore,
perché il far montagna non sia
un altro possibile momento di egoismo.
Ti prego perché la cordialità, l’amicizia, la disponibilità
che qui in montagna diventano un fatto spontaneo,
lo siano nella vita quotidiana.
Ti ricordo gli amici scomparsi…
e chi ha chiuso la giornata terrena sui monti.
E se dono vuoi concedermi, Signore misericordioso,
questa grazia ti chiedo:
finchè ti piace tenermi in vita
fammi camminare per le mie montagne».
Conclusa la celebrazione con la benedizione di Mons. Giuseppe Anfossi l’assemblea si è sciolta al canto dell’ormai tradizionale “Dio del cielo, Signore delle cime” sempre molto commovente.
Il saluto reciproco e l’arrivederci è nato spontaneo. La condivisione della sofferenza crea legami di amicizia profondi e duraturi.
L’anno che ci attende, il 2015, sarà ricco di avvenimenti significativi.
Ne voglio sottolineare due in particolare.
Per noi Salesiani sarà l’anno bicentenario della nascita del nostro Padre e fondatore don Bosco: 16 agosto 1815-2015. Un dono di Dio all’umanità, alla chiesa ai giovani. Tutta la sua vita , il suo operato, fu finalizzato a salvare le anime dei suoi ragazzi. Per lui ogni ragazzo era una parte insostituibile del progetto di Dio per l’umanità: non poteva andare perso. Passò ore ed ore a confessare, a fare la guida spirituale; con i ragazzi non iniziava né terminava mai la giornata senza la preghiera, la S. Messa non mancava mai. Tutta la sua opera poggiava su pilastri per Lui insostituibili: amore all’Eucarestia, devozione a Maria fedeltà alla Chiesa. Diceva Jean Duvallet, anziano confratello dell’Abbè Pierre, a noi Salesiani: «Voi avete opere, collegi, oratori per giovani, ma non avete che un solo tesoro: la pedagogia di Don Bosco. Rischiate tutto il resto, questi non sono che mezzi, ma salvate la pedagogia. [….] In un mondo in cui gli uomini e i ragazzi sono frantumati, disseccati, triturati, classificati, psicanalizzati, in cui i bambini e gli uomini sono utilizzati come cavie e materie prime, il Signore vi ha affidato una pedagogia in cui trionfa il rispetto del ragazzo, della sua grandezza e della sua fragilità, della sua dignità di figlio di Dio. Conservatela, rinnovatela, ringiovanitela, arricchitela di tutte le scoperte moderne, adattatela ai vostra ragazzi strapazzati in un modo come Don Bosco non ne aveva visti mai […] ma, per carità, conservatela. Cambiate tutto, perdete, se è il caso, le vostre case, che importa? Ma conservate per noi questo tesoro, il modo di Giovanni Bosco di amare e salvare i ragazzi, che batte in migliaia di cuori».
Per la montagna sarà il 150° anniversario della celebre conquista della vetta del Cervino. La prima ascensione alla vetta del Cervino fu una vera e propria gara tra due alpinisti: l’inglese Edward Whymper e l’italiano Jean Antoine Carrel.
Quando Whymper, nel 1861, vide il Cervino per la prima volta ne fu stregato.
Contattò Jean Antoine Carrel, anch’egli interessato all’impresa, per organizzare la spedizione. I due, però, non riuscirono a trovare un accordo. Whymper tentò da solo la salita dal versante svizzero, con l’aiuto di una guida bernese. Il tentativo fallì.
Carrel ci provò a sua volta, dal versante italiano. Superò la quota dell’inglese, ma senza raggiungere la vetta.
Seguirono molti altri tentativi da parte dei due alpinisti lungo le opposte creste, italiana e svizzera. Vinse Whymper che il 14 luglio del 1865 raggiunse la vetta da Zermatt, aprendo una via sulla cresta dell’Hörnli. L’impresa, però, ebbe un esito tragico, poiché durante la discesa persero la vita quattro compagni di cordata.
Carrel aveva ricevuto l’incarico di salire in vetta da Quintino Sella e dall’appena nato Club Alpino Italiano. Il giorno in cui Whymper portò a termine l’impresa, Carrel si trovava a poche centinaia di metri dalla meta, sul versante italiano. Ma non gli riuscì di raggiungerla.
Ce la fece tre giorni dopo, il 17 luglio, aprendo una via ben più difficile, da Breuil lungo la Cresta del Leone.
Sono due storie completamente diverse, ma che sanno entrambe di avventura e che narrano di uomini che hanno in comune la caparbietà e la dedizione totale per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato: per don Bosco la “salvezza dei giovani”, per Whymper e Carrel il raggiungimento della vetta.
Accanto a questi due avvenimenti non possiamo dimenticarne altri due che vedranno protagonista la città di Torino: l’esposizione della Sindone, dal 19 aprile al 24 giugno, che ha come slogan: “L’amore più grande”. La visita di Papa Francesco, il 21 giugno, a spronarci nella fede, nell’amore, nella misericordia di Dio e nella carità verso il prossimo.
A tutto ciò va ad aggiungersi anche la decisione della Chiesa di fare del 2015 l’anno della “vita religiosa”. Se questo non è un anno di grazia particolare!!
A noi la fortuna e la gioia di viverlo con l’impegno di lasciarci sollecitare nello spirito da questi avvenimenti.
Colgo l’occasione per augurare a tutti un SANTO NATALE ed un SERENO 2015 con questa bellissima riflessione di Madre Teresa di Calcutta.
Tutti saluto e benedico,
Don Vincenzo Caccia
Sabato 6 luglio 2014 ai 2.232 m. di Punta Jolanda, in val di Gressoney si è svolto il 33° incontro dell’amicizia delle “genti del Monte Rosa”: una festa improntata all’unità e alle relazioni umane che le montagne sanno creare intorno alle persone anche con culture e tradizioni diverse tra loro.
Numerosa la partecipazione, circa 200 persone, e variegata l’età dei presenti; molti sono saliti a piedi percorrendo il sentiero n. 5, gli altri in seggiovia. Il cielo, coperto in parte di nuvole, ha comunque lasciato svolgere la manifestazione senza difficoltà o problemi.
Quest’anno l’organizzazione era affidata al CAI di Gressoney.
Come sempre erano presenti i vari CAI che ruotano attorno al massiccio del Rosa e che a turno organizzano l’incontro: Gressoney, Verres, Biella, Macugnaga, Varallo, Novara e Vercelli con relativo gagliardetto.
Erano rappresentate anche le sezioni A.N.A. biellesi, ossolane, valsesiane e valdostane.
L’incontro ha avuto inizio alle ore 11,30 con la S. Messa presieduta da don Ugo Casalegno, parroco di Gressoney e “….altre parrocchie”. Insieme con lui hanno concelebrato don Remo Baudrocco, parroco di Chiavazza, e don Vincenzo Caccia, salesiano a S. Benigno Canavese.
Ad animare la S. Messa la Cantoria di Gressoney St. Jean che, con tanto di accompagnamento organistico, ha eseguito brani a più voci di una messa di Schubert in tedesco. Non poteva mancare però “Signore delle cime”, come canto a ricordo di tutti i defunti della montagna.
Franz De La Pierre, presidente CAI Gressoney ha ben condensato il significato di questo incontro: “Il patrimonio del Monte Rosa deve essere comune a tutti per questo è stato ideato un incontro all’anno con i soci che è diventato una vera festa. E le sezioni colgono l’occasione per parlare di progetti futuri da realizzare per valorizzare e proteggere il patrimonio di questi monti.”
La festa è proseguita con un abbondante piatto di polenta, preparata in un paiolo di ben 20 kg di capienza, ed un buon bicchiere di vino per tutti.
Il clima di amicizia e di “famiglia” è stato contrassegnato anche da cori di canti di montagna a più voci spontanei ed improvvisati e rallegrato dal suono di una fisarmonica.
Un plauso va a tutti gli organizzatori. Il testimone dell’incontro del prossimo anno è stato passato al CAI di Verres.
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