1985 – Fedeltà al 5 agosto
Lunedì 5 agosto 1985
La giornata inizia limpidissima, ma fresca; in alto sui ghiacciai c’è tanto vento. Durante il pomeriggio verranno nubi e precipitazioni. I pellegrini alpinisti giungono numerosi anche quest’anno (un centinaio); alle 12.30 stipano letteralmente la chiesetta e i rimanenti a ridosso della porta fanno un muro compatto contro il vento.
Ci sono i rappresentanti della sezione del C.A.I. di Varallo; Guido Fuselli porta una preghiera per il grande valsesiano, accademico Cichin Ravelli che, pochi mesi fa, è partito per il Paradiso dopo aver serenamente toccato i cento anni: ricordo il suo entusiasmo attorno a noi, ragazzi del gruppo “Chiesetta Alpina”, quando decidemmo, 18 anni fa, di costruire questa cappella e consultammo la sua nota esperienza di costruttore di bivacchi alpini; ricordo le lacrime di commozione che scendevano dai suoi occhi il 5 agosto 1967, quando l’inaugurazione era terminata e lui era rimasto tutto solo a lungo, in piedi al centro della cappella, assorto nei suoi nobili sentimenti, con la sua fede, con il suo amore per la Madonna; da me richiamato così si espresse, riferendosi alla Cappella: «Che cosa bella ha ispirato don Bosco ai suoi giovani!».
Tra le imprese più belle del grande alpinista Valsesiano spicca la prima salita alle Grandes Jorasses per la Cresta delle Hirondelles compiuta con Adolfo Rey, A. Chenoz, Rivetti, Gaia, Matteoda il 10 agosto 1927. Così conclude la relazione fatta per la rivista del Club Alpino Italiano: «… Sono le quindici del 10 agosto (1927) e lo slancio superbo del monte, presso la vetta, pare smorir stanco: sentiamo agitarsi sulle nostre teste la libera airia del cielo sconfinato nel dominio del sole e l’arrampicata viene accelerata, l’altezza è vinta e il primo è sulla cresta. E presto tutti siamo raccolti in silenzio con l’animo piegato davanti alla maestà del Monarca giganteggiante, tutto ardore nello sfolgorio del vespro. Dal trono sublime, che l’occhio contempla adorando, corriamo giù con la nostra estasi di trionfatori alle case degli uomini, sparse o raggruppate nella conca di vivo smeraldo. Ci fermiamo con religioso pensiero alla chiesa di Notre Dame de la Guerison che occhieggia, biancheggiante, pura fra il bosco delle abetaie in cui pare si annidi: e dall’altezza della nostra vittoria, chj ha formulato in cuore un voto in uno dei momenti più aspri della lotta, lo ripete come proclamandolo in rendimento di grazie».
Concelebrano dieci sacerdoti: presiede il parroco di Gressoney la Trinité, don Giancarlo Gariglio; c’è il veterano di questa festa, l‘ultra settantenne Don Aldo Bombara e sacerdoti che si ritrovano quasi ogni anno quassù: don Giuseppe Borgogno, don Domenico Gasparini, don Pietro Rota, don Giuseppe Capra e altri che compaiono per la prima volta a godere il clima spirituale eccezionale di questo pellegrinaggio che richiede lungo faticoso cammino e tanto silenzio e ascolto della natura alpina; sono presenti anche 9 suore di don Bosco, e 3 Orsoline di S. Carlo con i loro giovani.
La prima invocazione si rifà la storia della cappella, nata per ricordare l’amico e guida spirituale, don Aristide Vesco, caduto su quei monti quando saliva con noi. Qui c’è anche un volume che raccoglie i nomi dei caduti del Monte Rosa e idealmente di tutti i caduti della montagna. Qui attorno ci sono i volti di altri amici che ci hanno lasciato prematuramente: don Franco Delpiano, Giamberto ed Elsa Gatti, due dei ragazzi costruttori. Queste partenze sono state dolorose lacerazioni! Ma noi offriamo il loro sacrificio, la loro vita, assieme al dolore che è nella vita di tutti noi, chiedendo da questa offerta quei doni di cui il mondo ha più bisogno: solidarietà, amicizia, ricerca insieme della verità, a cui tanto ci educò don Vesco.
La seconda invocazione è ispirata dalla bellezza e dal fascino misterioso e potente della montagna. La natura è il primo libro in cui Dio si rivela, il primo libro in cui leggiamo pieni di grande stupore.
Con una terza invocazione domandiamo le virtù che sono simboleggiate dalla montagna, dai suoi doni, dalla sua vita che attende lunghi mesi nel silenzio più assoluto, nel gelo, sotto la neve, il ghiaccio… Là, dove tutto sembra morte, dopo la lunga pazienza, quando la parola di Dio ordina la primavera, come dice un salmo: «Tutto si scioglie, scorrono la acque, esplode la vita più intensa, più fresca, più profumata, più incantevole».
La quarta invocazione prende movimento dalla posizione della più alta chiesetta delle Alpi: qui davanti si formano le cordate, si legano gli amici per avviarsi solidali sul ghiacciaio, per salire al regno del silenzio e del mistero, che una volta impauriva ed ora affascina … Ogni cordata ha bisogno di una guida: qualcuno nella cordata deve sapere, deve condurre … La meta è una delle tante vette, è qualcosa di elevato, di sconfinato, di infinito, perché l’uomo ha bisogno di “Infinito”.
Sopra di noi, 600 metri più in alto, è il “Cristo delle Vette”. Tutte le cordate puntano verso il Cristo delle Vette, il punto di orientamento più normale, più centrale: questa marcia di uomini solidali, legati alla stessa cordata, che puntano verso il Cristo… è un simbolo di tutta la nostra vita che oggi poniamo nelle mani di Maria, nostra Madre e nostra Guida.
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